PORTA LA BELLEZZA NEL PIATTO

 Dicono che l’uomo sia quello che mangia. E ormai sappiamo tutti che il cibo è ben più che mero nutrimento: è un modo per esprimere e chiedere amore, concedersi gratificazione, domandare attenzione, riempire baratri di paure o combattere solitudini. Mangiamo troppo, mangiamo poco, mangiamo male. La differenza la fa spesso il modo in cui mangiamo, l’attenzione a quel che mettiamo nel piatto, sia come contenuto sia come forma.

Porta la bellezza nel piatto!

Non serve essere grandi chef e a praticare la nobile arte dell’impiattare. Ci si ciba prima con gli occhi e solo dopo con la bocca. Anche il manicaretto migliore, sano e realizzato con materia prima a chilometro zero e di stagione, gettato a cucchiaiate informi in un piatto, perde ogni attrattiva. Dopo aver fatto la spesa con coscienza e cucinato con amore, concludi in bellezza impiegando un po’ di tempo per scegliere il piatto giusto, alternare i colori, creare delle disposizioni originali, aggiungere un decoro ottenuto per esempio con un goccio di crema di aceto balsamico o un ricciolo di carota. Se serve qualche minuto in più per portare la pietanza in tavola, sarà ben speso.

Una tavola ben apparecchiata e un piatto che si presenta bene sono segno di amore e di rispetto, anche quando si mangia da soli. Portare creatività, originalità e gradevolezza estetica in quel che si propone a colazione, pranzo e cena ha sempre implicazioni positive su appetito, digestione e umore! Non solo a Natale ma anche nel nostro quotidiano. Ce lo dice anche la scienza che il bello è meglio.

Dott.ssa Roberta Bianchi, Psicologa Psicoterapeuta

DIMAGRIRE A NATALE.

Nei giorni di festa, soprattutto nelle giornate di Natale e Capodanno, tendiamo a mangiare molto senza controllare i cibi che ingeriamo. Chiaramente in questi giorni particolari possiamo mangiare tutto ciò che la tradizione ci impone, ma non dobbiamo aspettare la fine delle vacanze per seguire un’alimentazione più regolare. Fin da subito possiamo aiutare il corpo a non accumulare le calorie ingerite in eccesso. Per questo motivo è utile, nei giorni subito dopo Natale, ma lo stesso subito dopo il capodanno, seguire la dieta disintossicante di SuperSalute. Tale dieta permette di eliminare le sostanze che provocano intasamento del nostro intestino e permette anche di ridurre quel fastidioso gonfiore addominale tipico delle feste.

La SuperSalute in generale comincia sempre da qui. La fase della disintossicazione è fondamentale per tutti. Occorre seguire questa fase per almeno 3 giorni. Ciò aiuterà il nostro corpo a ristabilire un corretto equilibrio acido basico, sbloccherà il metabolismo e ci sentiremo subito meglio.

Nella dieta disintossicante si elimina: tutti i prodotti contenenti glutine (pasta, fette biscottate, biscotti etc), alimenti contenenti lattosio (mozzarella, formaggi, ricotta, latte, yogurt), carne, uova, lieviti (pane, pizza), solanacee (pomodori, peperoni, patate, melanzane).

 3 GIORNI DI DIETA DISINTOSSICANTE (PRIVA DI GLUTINE, LATTOSIO, CARNE, LIEVITI, ZUCCHERI E POVERA DI SALE):

COLAZIONE

– Acqua con aceto di mele in fiala o in compresse

– Frutta fresca 150g

– Frutta secca 20g o frullato/centrifuga di frutta e verdura di stagione

SPUNTINO

– Frutta secca (14 mandorle o 6 noci)

PRANZO (Bere 2 bicchieri di acqua a temperatura ambiente prima del pasto)

– Cereali senza glutine  (riso, mais, miglio, quinoa, grano saraceno, amaranto)

Affiancare sempre della verdura cruda oltre i 200g (lattuga, radicchio, carote, zucchine, germogli di soia, cetrioli, finocchi). Condire con sale, olio e succo di limone.

MERENDA

– Tè o tisana senza zucchero, con spezie

– Frutta secca (14 mandorle o 6 noci)

-Juice antiage dv

CENA (Bere 2 bicchieri di acqua a temperatura ambiente prima del pasto)

– Pesce azzurro (sardine, aringhe, acciughe, sgombro, aguglie)

– Legumi

-Quinoa solubile in polvere

Affiancare sempre verdura cotta oltre i 200g 

DOPO CENA, EVENTUALMENTE:

– Tisana o tè senza zucchero

– Frutta secca

Quantità totale della giornata per alcuni alimenti non presenti:

– Sale iodato 5g (CRUDO)

– Olio extravergine d’oliva 30g (CRUDO)

 Acqua 2l

Dr. Massimo Gualerzi, Medico Cardiologo autore del libro “La Dieta SuperSalute. Il metodo CRONOBIODETOX per essere più MAGRI, PIU’ FORTI, PIU’ SANI“, Sperling&Kupfer. www.massimogualerzi.com

 

IPERTENSIONE ED EMOTIVITA’

Lo stato ansioso può giocare un brutto scherzo quando il paziente si sottopone a controlli per la pressione arteriosa. È, infatti, ben noto che quando a misurare la pressione è un medico i valori rilevati sono mediamente più alti. Il fenomeno è stato definito come “ipertensione da camice bianco”. Che il medico indossi o no il camice bianco, l’ansia per il responso si traduce in stimoli nervosi che partendo dal cervello e percorrendo le vie del sistema simpatico, inducono la produzione di ormoni, l’adrenalina e la noradrenalina, che immessi in circolazione hanno come effetto immediato un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca.

Studi in soggetti ospedalizzati, sia normotesi sia ipertesi, hanno osservato con tecniche di monitorizzazione della pressione che l’arrivo del medico comporta entro 1-4 minuti un aumento della pressione che mediamente è di 26 mmHg per la massima e di 15 mmHg per la minima. Tali valori rientrano nella norma dopo 10 min. E’ questa la conferma sperimentale della opportunità che la pressione venga misurata una seconda volta dopo 10 min. quando, nel corso della prima, essa sia risultata elevata.

Quale allora è il vero valore della pressione? Quello misurato dal medico o quello rilevato in condizioni di maggior tranquillità magari a casa propria? La risposta è che sono veri entrambi purché correttamente interpretati nel loro giusto valore. La diagnosi d’ipertensione non deve essere fatta sulla base di una unica misurazione effettuata dal medico nel proprio studio ma di misurazioni successive. Solo se dopo qualche settimana di prescrizioni igienico dietetiche riscontreremo valori leggermente elevati, si intraprenderà una terapia farmacologia. Alla luce di questi fatti si è sempre pensato che l’innalzamento della pressione del sangue in occasione della visita medica non rappresenti una malattia bensì una innocua reazione emotiva di soggetti particolarmente sensibili e neuro labili. Tuttavia da più parti viene messa in discussione la piena benignità di questa forma. In particolare con l’ecocardiogramma si è visto che nell’ipertensione da camice bianco vi è uno spessore del setto interventricolare e della parete posteriore del ventricolo sinistro, superiore a quello dei soggetti che hanno una pressione normale e a quella degli ipertesi lievi. In altre parole l’elevata emotività di questi soggetti produrrebbe un aumento delle resistenze al flusso sanguigno che alla fine indurrebbe una malattia di cuore che vediamo nei soggetti con la comune ipertensione essenziale.

Un gruppo di ricercatori della Georgia ha condotto una ricerca, mai effettuata prima, per indagare se il timore del camice bianco esercitasse il suo effetto anche in età infantile. E’ stato studiato un gruppo di bambini e ragazzi di età compresa fra i cinque e i quindici anni. In comune questi ragazzi avevano la famigliarità positiva per ipertensione poiché era iperteso almeno uno dei genitori. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a misurazione della pressione arteriosa da parte del medico curante e successivamente controllati mediante un Holter PA che come è note monitorizza ambulatoriamente la pressione per 24 ore. Dal confronto dei dati ottenuti con i due sistemi, risulta che il fenomeno da “camice bianco” è rilevabile anche nei bambini e nei ragazzi con una famigliarità per ipertensione. Il fatto è di per sé da considerarsi un indicatore di probabile sviluppo futuro d’ipertensione.

Dallo studio è emerso anche che nei ragazzi con “sindrome da medico” i valori pressori erano più elevati nelle ore trascorse a casa che nelle ore scolastiche. Esiste quindi in questi bambini già predisposti a essere ipertesi una risposta eccessiva del sistema vascolare a stimoli esterni che si manifestano nell’ambiente domestico. Creiamo pertanto intorno ai nostri figli un clima famigliare sereno se non vogliamo che proprio nell’infanzia si pongano le basi per una pericolosa predisposizione all’ipertensione arteriosa. Comunque sia va chiarito che l’ipertensione non è una malattia del sistema nervoso causata da tensioni emotive. La pressione alta è una patologia cardiovascolare e non nervosa sebbene l’ansia possa talvolta predisporre alla malattia. Altresì non è assolutamente vero che la pressione elevata nel sangue non sia preoccupante fintanto che non causa disturbi. In genere è asintomatica per anni ma danneggia progressivamente gli organi “bersaglio” ossia il cuore, i reni, il cervello per cui deve essere curata prima che compaiano i sintomi. I disturbi saranno la conseguenza del danno che si è instaurato in questi organi nel tempo e se la terapia viene iniziata tardivamente i benefici saranno limitati perché le alterazioni prodotte sono reversibili solo in piccola parte.

Dott. Massimo Gualerzi

Medico Specialista in Cardiologia

 

SE IL SISTEMA IMUNITARIO FUNZIONA MALE BASTA RINGIOVANIRE LE CELLULE

Quello che mangiamo ha un’influenza sul processo d’invecchiamento. Queste le conclusioni di un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’University College London (UCL) – con il supporto del Biotechnology and Biological Sciences Research Council (BBSRC) – che hanno dimostrato proprio come l’interazione tra la dieta, il metabolismo e l’immunità siano coinvolti nel processo d’invecchiamento dell’organismo che, spesso, si traduce in una minore efficienza del sistema immunitario. Questa condizione espone maggiormente le persone al rischio di condizioni come l’infiammazione, le infezioni e malattie come il cancro.
Agire dunque sulla dieta, secondo i ricercatori, potrebbe contribuire a rendere più efficaci le terapie esistenti che agiscono sul sistema immunitario.

È ormai assodato che con l’avanzare dell’età il nostro sistema immunitario perde i colpi, e non è più efficiente come un tempo.Non a caso, le persone anziane sono più soggette alle infezioni e a sviluppare malattie causate dall’infiammazione. In più, anche le vaccinazioni diventano meno efficienti con l’età.
Già in precedenti ricerche, finanziate dal BBSRC, il team di ricerca UCL coordinato dal professor Arne Akbar aveva dimostrato che l’invecchiamento delle cellule del sistema immunitario – note come linfociti T – era controllato da una molecola chiamata “p38 MAPK”, la quale agisce a mo’ di freno, impedendo alcune funzioni cellulari. Questa azione di freno può essere tuttavia invertita mediante un inibitore della p38 MAPK. I ricercatori ritengono che l’inibizione della molecola offra la possibilità di ringiovanire con un trattamento farmacologico le cellule T invecchiate.

Ma la ricerca, ora, è andata oltre. Si è infatti scoperto che p38 MAPK è attivata da bassi livelli di nutrienti – insieme a segnali associati con l’età, o la senescenza – all’interno della cellula.
La scoperta conferma quanto già sospettato da tempo, ossia che la dieta, il metabolismo e l’immunità sono collegati. E i risultati di questo studio – pubblicato su Nature Immunology – forniscono le prove di come nutrienti e segnali di senescenza convergano per regolare la funzione dei linfociti T. Inoltre, suggeriscono che la funzione dei vecchi linfociti T può essere ricostituita bloccando una delle diverse molecole coinvolte nel processo.
Per questa ricerca, il team dell’UCL ha lavorato insieme ai colleghi del Complejo Hospitalario de Navarra di Pamplona (Spagna).

Il The Journal of Clinical Investigation ha poi pubblicato i risultati un altro nuovo studio – condotto sempre dai ricercatori dell’UCL, in collaborazione con quelli dell’Università di Oxford e dell’Università Tor Vergata di Roma – in cui si è dimostrato come il blocco di p38 MAPK abbia potenziato la capacità delle cellule che avevano mostrato segni di invecchiamento, migliorato la funzione dei mitocondri e migliorato la loro capacità di dividersi.

Il riciclo di molecole intracellulari – un processo noto come autofagia – ha poi fornito l’energia supplementare alle cellule affinché potessero dividersi. Questo mette in evidenza l’esistenza di una via di segnalazione comune per i vecchi e senescenti linfociti T, che controlla la loro funzione immunitaria, così come il metabolismo. Tutto questo sottolinea ulteriormente l’intima associazione tra l’invecchiamento e il metabolismo dei linfociti T.

«La nostra speranza di vita alla nascita – spiega il dott. Arne Akbar – è divenuta ormai il doppio di quanto non fosse 150 anni fa, e la durata della vita è in aumento. I costi sanitari associati con l’invecchiamento sono enormi e ci sarà un numero sempre maggiore di anziani nella nostra società che avranno una minore qualità della vita dovuta in parte al declino immunitario. E’ pertanto essenziale comprendere le ragioni del perché l’immunità si abbassa e se è possibile contrastare alcuni di questi cambiamenti».

«Una questione importante – prosegue Akbar – è se questa conoscenza può essere utilizzata per migliorare l’immunità durante l’invecchiamento. Molte aziende farmaceutiche hanno già sviluppato inibitori della p38 nel tentativo di curare le malattie infiammatorie. Una nuova possibilità per il loro uso è che questi composti potrebbero essere utilizzati per migliorare l’immunità nei soggetti anziani. Un’altra possibilità è che la dieta, invece di un intervento farmacologico, potrebbe essere utilizzata per migliorare l’immunità, dato che metabolismo e senescenza sono due facce della stessa medaglia».

Dr. Massimo Gualerzi, Medico Cardiologo.

La Stampa 26/08/2014

 

SMETTERE DI FUMARE FA INGRASSARE?

Fumare una sigaretta contrae le pareti dello stomaco, riesce ad alleviare il senso di fame, che si traduce in una sorta di “dieta” che permette sì di assumere meno calorie ma che provoca ingenti danni alla salute. Inoltre, spesso è più facile avere a disposizione una sigaretta piuttosto che qualcosa da mettere sotto i denti: pensiamo a quando si è nel traffico o in ufficio. Il potere che ha la nicotina di creare assuefazione è in grado di far percepire al nostro cervello che è meglio intossicarsi con il monossido di carbonio, piuttosto che gustarsi un sano gelato o un trancio di pizza.

Quei tre o quattro chili messi su nei primi mesi, quando si sta combattendo la dipendenza, verranno persi non appena ci si sentirà meglio sia dentro che fuori. La nicotina ha inoltre lo stesso effetto della caffeina sull’organismo: queste sostanze accelerano leggermente il metabolismo e, effettivamente, influiscono sul consumo calorico giornaliero. Nonostante ciò, il contributo è talmente piccolo che un centinaio di chilocalorie in più o in meno incidono in maniera irrisoria sul peso.

Smettere di fumare: ingrassare è una conseguenza inevitabile? In effetti no. Anche se la sigaretta spezza la fame, non è detto che si debba necessariamente ingrassare una volta smesso di fumare. Il punto è che si avrà di sicuro più appetito, che però può essere compensato in altri modi. C’è anche chi, una volta smesso di fumare, è dimagrito. Come? Iscrivendosi in palestra ad esempio. Tra i diversi consigli ce n’è uno che suggerisce di occupare il tempo in altre attività: praticare uno sport è un’ottima alternativa all’accendersi la sigaretta. Uno dei benefici più immediati dello smettere è quello di sentirsi più energici e attivi, condizioni che favoriscono un tipo di allenamento più efficace e duraturo. Il corpo, col tempo, tenderà a riacquistare da solo la condizione originaria e si perderanno senza accorgersi i chili eventualmente presi.

Smettere di fumare: gli alimenti sì. Innanzitutto è sconsigliato sostituire alla pausa sigaretta una pausa spuntino. Si rischia di ritrovarsi a spizzicare quasi per 15 volte al giorno, questo sì che comprometterebbe un aumento di peso notevole! Considerati i danni del fumo sulla salute, come l’aumento dei radicali liberi che accelerano l’invecchiamento dei tessuti e degli organi, è bene aumentare il consumo di frutta, verdura e tutti quegli alimenti ricchi di vitamine e acqua. La nicotina è una sostanza idrosolubile e bere molto facilita l’eliminazione di questo alcaloide dall’organismo. Via libera a lattuga, carote, sedano, albicocche, banane o arance, insomma acquistate tutti gli alimenti di stagione disponibili per disintossicarvi dalla sigaretta e purificare l’organismo. Se avete fame, e non volete sgarrare con spuntini fuori pasto, masticare lentamente una mela può saziarvi facilmente. Non eliminate i carboidrati dalla dieta: quelli a rilascio lento (pane, pasta, riso) stimolano la produzione del neurotrasmettitore responsabile della sensazione di benessere, la serotonina, piuttosto utile quando si vuole smettere di fumare. Se sentite il bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, per smorzare il desiderio della ritualità che vi dava la sigaretta, comprate dei bastoncini grezzi di liquirizia. Per chi non li conoscesse, si presentano sottoforma di rametti di legno con un’anima leggermente giallastra: sono le radici della pianta della liquirizia, da cui si ricavano i confetti in commercio.

Smettere di fumare: gli alimenti no. Evitate come la peste caramelle con lo zucchero o altri intingoli e snack ipercalorici. Anche se piccoli di dimensioni, il che può trarre in inganno, contengono molte calorie e pochi nutrienti, rappresentando tutto quello che non si deve mangiare in questo momento. Ancora, stop ad alcool e caffè: stimolano la voglia di accendersi una sigaretta e aumentano il senso di euforia, che porta a sottovalutare le situazioni, oppure, come il caffè, fanno parte di un rituale consolidato negli anni difficile da abbandonare. No anche ai dolci: qualora sentiste il bisogno di un sostegno “affettivo”, cercarlo negli zuccheri e nei grassi non è una scelta saggia. Niente pasti “consolatori”, fritture o cornetti alla crema, rischiate di mettere in pericolo le vostre arterie che credevano di averla scampata eliminando le sigarette.

Ricordate che è preferibile evitare di smettere di fumare e di mettersi a dieta ferrea nello stesso periodo. Sono queste due scelte che comportano grandi sacrifici sia fisici che mentali e cercare di fare tutto insieme porterebbe, inevitabilmente, a fallire su entrambi i fronti. Non attribuite le decine di chili presi con l’aver smesso di fumare: l’assenza di nicotina è responsabile solo dei primi tre o quattro chili, non dei successivi, acquistati probabilmente da un trasferimento della sensazione di ansia nel cibo. Sensazione che veniva prima placata col fumo.

Tisane, bevande & Co.: un aiuto quando smetti di fumare. È buona regola alternare all’acqua delle tisane depurative, infusi antiossidanti e bevande ricche di principi attivi rilassanti. Karkadè, tarassaco, bardana, tè verde, mirtillo e finocchio contribuiscono a pulire il corpo dalle sostanze nocive portate dalla sigaretta. Questa, a sua volta, “assorbe” alcuni elementi essenziali per l’organismo, come le vitamine A, B1, B6, B12, C ed E. Tali principi attivi contrastano l’invecchiamento e integrarli con Zinco, Magnesio, Omega 3 e Selenio è importante quando si vuole smettere di fumare.

Dr. Massimo GualerziMedico Cardiologo, fondatore di SuperSalute.

 

LA MENTE CONTROLLA IL GRASSO: ecco come lo STRESS ci fa ingrassare e cosa puoi fare TU per impedirlo.

Viviamo in una società con un livello di stress molto elevato. Ogni giorno è un corri corri, sempre di fretta.
Ti svegli al mattino, ti prepari di fretta, corri per portare i bambini a scuola dandogli da mangiare merendine e cereali allo zucchero, poi sei seduto in macchina nel traffico nell’ora di punta, le scadenze al lavoro ti mettono pressione, corri per tornare a casa, corri per portare i bambini a fare sport e per andarli a prendere, corri per preparare la cena (scommetto che un sacco di volte sei troppo stanco per cucinare e finisci per ordinare una pizza a domicilio o prepari a casa cibi già pronti), corri per terminare il lavoro che ti sei portato a casa, forse hai anche tempo per guardare mezz’ora del tuo programma televisivo preferito, poi è il momento di mettere tutti a letto e ti svegli la mattina dopo per rifare tutto da capo!

Tutto questo non rende solo la giornata stressante , ma quando lo fai per anni il tuo corpo inizia effettivamente ad invecchiare ad una velocità incredibile.

 Ecco perché lo stress ti fa aumentare di peso

Ricerche scientifiche mostrano che il legame tra stress e aumento di peso è molto più forte di quanto si pensava anni fa. Un recente studio condotto dal Georgetown Med Center ha dimostrato che i topi sotto stress aumentavano di peso più facilmente, anche se il loro apporto calorico non cambiava. Gli scienziati inoltre affermano che dopo 3 mesi, questi stessi topi diventavano due volte più obesi dei topi che non venivano sottoposti a stress, anche se mangiavano la stessa quantità di cibo!

Quindi, lo stress porta davvero ad un aumento di peso? Beh, la risposta è sì. MA non è così per tutti. Alcune persone perdono appetito e perdono peso quando sono stressate (Io sono una di queste persone. Mangiare è l’ultima cosa a cui penso quando sono stressato dal lavoro e dagli impegni). PeròSE sei già in sovrappeso o ci sei vicino, allora lo stress ti porterà ad aumentare di peso.

Ti renderà anche più difficile perdere peso o mantenere un peso equilibrato.

Ma cos’è esattamente lo stress?

Lo stress è il modo in cui il corpo risponde a qualsiasi tipo di esigenza. Può essere causato sia dalle esperienze positive che da quelle negative. Quando c’è qualcosa che ti stressa, il tuo corpo reagisce rilasciando sostanze chimiche nel sangue. Queste sostanze chimiche ti danno più energia e forza, il che può essere una buona cosa se lo stress è causato da un pericolo fisico. Ma può anche essere una cosa negativa, se lo stress è in risposta a qualcosa di emotivo e non riesci a “sfogare”questa energia e questa forza supplementare.

I due ormoni principali che vengono rilasciati sono il cortisolo e l’adrenalina (epinefrina). Le ghiandole surrenali sono responsabili della produzione degli ormoni dello stress. Il cortisolo e l’adrenalina ci preparano per le emergenze. Questa risposta di stress è radicata nel nostro dna dall’inizio dei tempi ed è stata fondamentale per la nostra sopravvivenza perché ci ha permesso di stare in allerta per essere pronti a combattere o fuggire (questo è il motivo per cui è chiamata “risposta combatti o fuggi”).

Ora, questa risposta andava bene quando dovevamo affrontare un sacco di pericoli che minacciavano la nostra vita (come ad esempio quando una tigre dai denti a sciabola cercava di mangiarci). Lo stress che dobbiamo affrontare oggi, però, è molto diverso. È più mentale ed emotivo (ora il lavoro può essere la tigre dai denti a sciabola che ti insegue). Ma il corpo risponde ancora allo stesso modo, perché non conosce la differenza tra lo stress fisico e lo stress mentale.

 Perché quando sei stressato ingrassi?

Lo stress e l’aumento di peso vanno di pari passo. Prima di tutto gli effetti negativi dei livelli di cortisolo più alti portano alla soppressione della funzione tiroidea e a squilibri nei livelli di glicemia. Il tuo corpo funziona diversamente e il grasso viene creato e immagazzinato sula pancia. Questa è una delle zone più pericolose in cui il grasso può essere immagazzinato ed è collegato a diversi problemi di salute e malattie gravi.

La quantità di cortisolo che viene prodotto varia da persona a persona. Gli studi hanno mostrato anche che le persone che secernono livelli più alti di cortisolo, in risposta allo stress, tendono a mangiare di più. Ed il cibo che scelgono è solitamente pieno di carboidrati e zuccheri. Questo perché gli ormoni dello stress sono “creati”dai grassi e dagli zuccheri, per cui il tuo corpo ne desidererà sempre di più e creerà più ormoni dello stress. Questo diventa un circolo vizioso che ti fa ingrassare e mangiare sempre di più.

Inoltre, lo stress è noto per rallentare il metabolismo in alcune persone. Naturalmente, quando questo accade, è più facile e molto più probabile che aumenti di peso. Ti potresti anche sentire pieno, ma hai ancora fame. Potresti mangiare la stessa quantità di cibo, ma quando sei stressato il tuo corpo non brucia più le calorie ala stessa velocità. Quindi hai un “eccesso”di energia (che deriva dalle calorie che ingerisci) che viene convertita e trasformata in cellule di grasso. Ora torniamo al cibo: lo stress può anche decidere i cibi di cui hai voglia. Quando ti senti triste e depresso è molto più probabile che sceglierai i cibi più grassi, pieni di sale o di zucchero. Mangiare un’insalata non ti fa sentire meglio, quindi, è normale che preferisci un gelato, una pizza o un hamburger con le patatine fritte.

Oltre agli attacchi di fame incontrollati, lo stress può anche creare disturbi alimentari e la fame emotiva. Le variazioni di cortisolo aumentano l’energia nervosa immagazzinata nel corpo. Quando questo accade ti sembra naturale mangiare qualsiasi cosa e tutto quello su cui riesci a mettere le mani. Non hai bisogno di mangiare così tanto cibo, ma divorarlo ti fa sentire meglio, almeno sul momento.

Al contrario, quando produci meno ormoni dello stress hai meno voglia di mangiare ciambelle e tavolette di cioccolato. Quindi, respira profondamente, liberati dalla tensione e riempi la tua mente di pensieri felici per superare gli elevati livelli di stress.

 Sei un mangiatore emotivo?

Gli scienziati usano il termine “fame emotiva”per descrivere il modo in cui molte persone si curano da sole o affrontano i sentimenti negativi come la depressione, l’ansia, lo stress e la noia. Può anche essere innescata dalla stanchezza e dalla spossatezza.

Gli studi in realtà confermano che le persone sottoposte a stress cronico tendono ad aumentare di peso sia per i cambiamenti ormonali sia perché si concentrano sul cibo come fonte di sollievo.

Questi chili extra ti possono far sentire più stabile, appagato o isolato dal mondo, o possono essere un modo per sfuggire per un po’ da tutto ciò che accade intorno a te. A volte la gente mangia per riempire un vuoto interiore o per far fronte ad un disagio emotivo.

Importante: se sei stressato invecchi dai 9 ai 17 anni più velocemente!

Sì, hai capito bene. Questo è stato scoperto di recente da Elisa Epel, dottore di ricerca in Psicologia presso l’Università della California. Ecco la sua citazione diretta:

“Da 50 anni sappiamo che lo stress contribuisce all’ipertensione, alle malattie cardiovascolari, all’insulino-resistenza ed alle malattie autoimmuni, malattie che possono ridurre la durata della nostra vita. Ma non avevamo alcuna documentazione diretta di come lo stress influenzi l’invecchiamento a livello cellulare. Il mio team ha identificato notevoli cambiamenti nel DNA dei globuli bianchi delle donne stressate. Quando sono stati sottoposti a stress emotivo prolungato i telomeri, i rami alle estremità di ciascun cromosoma che consentono la replicazione cellulare, sono apparsi più corti. Quando i telomeri diventano troppo corti, le cellule non possono dividersi e muoiono prima. Sulla base della lunghezza dei telomeri, abbiamo stimato che le cellule delle donne oggetto di studio erano invecchiate di 9-17 anni. È possibile che quante più cellule muoiono, tanto più evidenti diventano gli effetti visibili dell’invecchiamento, come le rughe e la vista diminuita.”

Come puoi capire, nella vita non vale la pena stressarsi. E puoi salvare la tua bellezza e mantenere il tuo peso se solo… TI RILASSI!

Ora non preoccuparti, tra poco ti fornirò alcune soluzioni che possono aiutarti con i tuoi livelli di stress cronico. Presta molta attenzione e leggi assolutamente questo articolo più di una volta!

 I 5 segreti: “sbloccare” la tua mente brucia grasso

  1. Il successo lascia tracce:non cercare di scoprire l’acqua calda. Parla con persone che sono riuscite a perdere peso e non sono più ingrassate. Presta attenzione al loro modo di pensare e al loro atteggiamento.
  2. Non esistono fallimenti, ma solo risultati:è da qui che devi iniziare a cambiare la tua mentalità. Nulla di ciò che fai può essere un fallimento se impari da esso. Ricorda che se conosci di più, fai anche di più. Pensa a Thomas Edison. Ha “fallito” 10.000 volte prima di creare la lampadina. Ma quando gli è stato chiesto com’è riuscito a perseverare e a non mollare, ha detto che ha scoperto 10.000 modi per non creare una lampadina. Non ha mai fallito.
  3. La gente ha tutte le capacità di cui ha bisogno per avere successo:Quindi, se lo vuoi, avrai successo. Questa è una promessa. Quello che ti manca sono le abilità richieste per cambiare. Ma queste te le darò io. Devi solo usarle e applicarle. La conoscenza di per sé non è potere, ma conoscenza + azione = potere. Quello che manca alle persone è il “fare”. Non succederà nulla fino a quando non muovi qualcosa.
  4. Le persone più flessibili sono quelle che affronteranno con successo le situazioni problematiche per ottenere il cambiamento desiderato:devi adattarti ed essere flessibile per perdere peso. È praticamente impossibile per chiunque fare sempre le stesse cose e non cambiare mai. La vita cambia sempre. Fai del tuo meglio e se inizi ad allontanarti dal tuo obiettivo, torna indietro e leggi il punto 3 della lista.
  5. La tua massima priorità emozionale deve essere l’innato desiderio di sentirti amato e apprezzato:è ciò che guida le nostre azioni. Ecco perché tutti cercano sempre di apparire al meglio davanti agli altri. Non mi credi? Fai un passo indietro per un secondo e rifletti sul perché fai le cose che fai…e guardati anche intorno. Ti sarà tutto più chiaro : )

Beh, spero che ti sia piaciuto questo articolo. Questi sono i tuoi compiti a casa: voglio che tu faccia una lista di 10 cose che pensi che dovrebbe avere un atteggiamento mentale sano. Io ti darò la mia. Modificala in modo da adattarla a te il più possibile. Leggila ogni giorno per un mese. Alcuni dicono che una nuova abitudine si crea in 21 giorni. Per esserne sicuri diamole un mese!

 I 10 elementi di un atteggiamento mentale sano e di successo

Questo è un esempio di come vorrei che fosse il tuo atteggiamento mentale:

  1. Cerca di avere una maggiore consapevolezza e apprezzare di più te stesso e il tuo corpo.
  2. Ritagliati un po’ di tempo ogni giorno per eseguire rituali per rilassarsi o meditare. Fai yoga o tai chi (incredibile per ridurre lo stress), leggi la Bibbia, prega e sii grato. (queste sono idee, anche se sono cose nuove, provale e decidi quella che ti piace)
  3. Mantieni e coltiva i rapporti con gli amici stretti.
  4. Cerca di adattarti alle condizioni mutevoli.
  5. Fai sempre un po’ di attività fisica e segui un’alimentazione sana e mangia bene.
  6. Ridi un sacco; una buona commedia può davvero farti sentire meglio. Puoi anche sforzarti di sorridere (credimi questo funziona a meraviglia ed è contagioso).
  7. Divertiti e svolgi delle attività: non essere a-sociale!
  8. Cerca di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, con un atteggiamento ottimista e pieno di speranza.
  9. Cura sempre il tuo aspetto e il tuo corpo. Non trascurarti. Il tuo aspetto esteriore è un riflesso di quello che hai dentro! (non prendere alla lettera questa frase, però se la pensi in questo modo può aiutarti a perdere peso  )
  10. Non lasciare che le preoccupazioni ti impediscano di vivere bene; allontanale. Non preoccuparti per le sciocchezze!

 Prova tu stesso ad applicare qualcuno dei miei consigli. Poi mi raccomando scrivimi e raccontami i tuoi risultati!

Dr. Massimo Gualerzi, cardiologo fondatore del Metodo SuperSalute

 

LA FELICITA’ COMBATTE L’INFIAMMAZIONE

La Felicità è una ricerca.

Roberto Benigni.

A capire che una persona felice sta meglio di una triste non ci vuole un genio; dal punto di vista emotivo, almeno. Per quanto riguarda il punto di vista fisiologico, già dal 2001 Rita Levi Montalcini aveva evidenziato che le emozioni e lo stato emotivo dell’individuo, potessero avere un’influenza importante sulla risposta infiammatoria e allergica dell’organismo. La citochina nota come NGF (Nerve Growth Factor) che le è valsa il premio Nobel entra infatti in circolo quando l’organismo si trova in un momento percepito come in qualche modo rischioso. Può trattarsi di una guerra in corso, di un trasloco emotivamente vissuto in maniera strana, di un momento di stress acuto o altro. La particella immunologica innalza i livelli di istamina facilitando la reazione allergica che può dunque comparire in maniera apparentemente anomala in un momento in realtà di delicata transizione del singolo. Oggi il rapporto tra stato emozionale e infiammatorio viene spiegato in maniera differente da uno studio condotto ad Aichi, in Giappone, presso il Department of Cerebral Research del National Institute for Physiological Sciences (Istituto Nazionale per le Scienze Fisiologiche), da Matsunaga M et al. (Neuro Endocrinol Lett. 2011;32(4):458-63). L’esperimento condotto in tal sede ha coinvolto 160 partecipanti sani che si sono stati separati, in base alle dichiarazioni personali in un gruppo ad “alta felicità” e in un gruppo a “bassa felicità”. Ai due gruppi sono stati poi valutati nel sangue i livelli di IFN-gamma, notoriamente pro infiammatorio. Il risultato di questa prima parte dello studio è già di per sé fantastico, anche se per certi versi già sospettabile essendo l’IFN-gamma da tempo noto per evocare sensazioni legate alla depressione, agendo a livello centrale. Nello studio, i livelli della molecola nel sangue di chi si sentiva “altamente felice” risultavano nettamente inferiori rispetto a quelli del secondo gruppo. Lo studio non si ferma qui e prosegue: la seconda parte dello stesso ha analizzato sette “amorevoli coppie” che si sono viste testare i livelli della citochina proinfiammatoria prima e dopo essersi “toccati affettuosamente”. I livelli erano diminuiti tra il prima e il dopo. Questo è il vero punto focale: lo stato infiammatorio cambia con lo stato di benessere psichico, e soprattutto lo stato di benessere psichico può essere modificato. In questo caso l’elemento atto a modificare il livello di felicità percepita dall’individuo è il contatto con il partner. Per altri potrebbe essere la danza, una canzone, una chiacchierata amichevole, un sorriso indotto dall’aver ricordato qualcosa di bello o per cui ringraziare. Farsi del bene può essere più facile di quanto si immagini e se è vero che la propria emozionalità può influire in senso reattivo sul sistema immunitario, è bello e rassicurante sapere che una cosa semplice come la carezza del proprio partner possa fare così tanto per un benessere che è fisiologico e scientificamente dimostrato e dimostrabile. Così si invitano le coppie amorevoli a “toccarsi” più spesso, soprattutto se allergiche, e tutti a sorridere di più, dando il giusto valore alla propria sensazione di felicità.

Dr. Massimo Gualerzi, Medico Cardiologo, fondatore di SuperSalute.

 

IPERTENSIONE DA CAMICE BIANCO:Qual’è il vero valore della pressione?

Lo stato ansioso può giocare un brutto scherzo quando il paziente si sottopone a controlli per la pressione arteriosa. È, infatti, ben noto che quando a misurare la pressione è un medico i valori rilevati sono mediamente più alti. Il fenomeno è stato definito come “ipertensione da camice bianco”. Che il medico indossi o no il camice bianco, l’ansia per il responso si traduce in stimoli nervosi che partendo dal cervello e percorrendo le vie del sistema simpatico, inducono la produzione di ormoni, l’adrenalina e la noradrenalina, che immessi in circolazione hanno come effetto immediato un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca.

Studi in soggetti ospedalizzati, sia normotesi sia ipertesi, hanno osservato con tecniche di monitorizzazione della pressione che l’arrivo del medico comporta entro 1-4 minuti un aumento della pressione che mediamente è di 26 mmHg per la massima e di 15 mmHg per la minima. Tali valori rientrano nella norma dopo 10 min. E’ questa la conferma sperimentale della opportunità che la pressione venga misurata una seconda volta dopo 10 min. quando, nel corso della prima, essa sia risultata elevata.

Quale allora è il vero valore della pressione? Quello misurato dal medico o quello rilevato in condizioni di maggior tranquillità magari a casa propria? La risposta è che sono veri entrambi purché correttamente interpretati nel loro giusto valore. La diagnosi d’ipertensione non deve essere fatta sulla base di una unica misurazione effettuata dal medico nel proprio studio ma di misurazioni successive. Solo se dopo qualche settimana di prescrizioni igienico dietetiche riscontreremo valori leggermente elevati, si intraprenderà una terapia farmacologia. Alla luce di questi fatti si è sempre pensato che l’innalzamento della pressione del sangue in occasione della visita medica non rappresenti una malattia bensì una innocua reazione emotiva di soggetti particolarmente sensibili e neuro labili. Tuttavia da più parti viene messa in discussione la piena benignità di questa forma. In particolare con l’ecocardiogramma si è visto che nell’ipertensione da camice bianco vi è uno spessore del setto interventricolare e della parete posteriore del ventricolo sinistro, superiore a quello dei soggetti che hanno una pressione normale e a quella degli ipertesi lievi. In altre parole l’elevata emotività di questi soggetti produrrebbe un aumento delle resistenze al flusso sanguigno che alla fine indurrebbe una malattia di cuore che vediamo nei soggetti con la comune ipertensione essenziale.

Un gruppo di ricercatori della Georgia ha condotto una ricerca, mai effettuata prima, per indagare se il timore del camice bianco esercitasse il suo effetto anche in età infantile. E’ stato studiato un gruppo di bambini e ragazzi di età compresa fra i cinque e i quindici anni. In comune questi ragazzi avevano la famigliarità positiva per ipertensione poiché era iperteso almeno uno dei genitori. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a misurazione della pressione arteriosa da parte del medico curante e successivamente controllati mediante un Holter PA che come è note monitorizza ambulatoriamente la pressione per 24 ore. Dal confronto dei dati ottenuti con i due sistemi, risulta che il fenomeno da “camice bianco” è rilevabile anche nei bambini e nei ragazzi con una famigliarità per ipertensione. Il fatto è di per sé da considerarsi un indicatore di probabile sviluppo futuro d’ipertensione.

Dallo studio è emerso anche che nei ragazzi con “sindrome da medico” i valori pressori erano più elevati nelle ore trascorse a casa che nelle ore scolastiche. Esiste quindi in questi bambini già predisposti a essere ipertesi una risposta eccessiva del sistema vascolare a stimoli esterni che si manifestano nell’ambiente domestico. Creiamo pertanto intorno ai nostri figli un clima famigliare sereno se non vogliamo che proprio nell’infanzia si pongano le basi per una pericolosa predisposizione all’ipertensione arteriosa. Comunque sia va chiarito che l’ipertensione non è una malattia del sistema nervoso causata da tensioni emotive. La pressione alta è una patologia cardiovascolare e non nervosa sebbene l’ansia possa talvolta predisporre alla malattia. Altresì non è assolutamente vero che la pressione elevata nel sangue non sia preoccupante fintanto che non causa disturbi. In genere è asintomatica per anni ma danneggia progressivamente gli organi “bersaglio” ossia il cuore, i reni, il cervello per cui deve essere curata prima che compaiano i sintomi. I disturbi saranno la conseguenza del danno che si è instaurato in questi organi nel tempo e se la terapia viene iniziata tardivamente i benefici saranno limitati perché le alterazioni prodotte sono reversibili solo in piccola parte.

Dott. Massimo Gualerzi

Medico specialista in Cardiologia

 

L’INFIAMMAZIONE KILLER

Il Diabete, le malattie cardiovascolari e il tumore hanno un denominatore comune: l’infiammazione cronica. E’ un fuoco nemico che, pur se invisibile ad occhio nudo, ha un ruolo determinante nello sviluppo di queste patologie. Tanto che anche dalla biologia molecolare arriva un monito per fare attività fisica regolaremangiare sano ed evitare di «mettere su pancia».

L’accumulo di grasso, infatti, soprattutto a livello del giro vita (oltre 94-95 cm nell’uomo e 80-82 cm nella donna) scatena un’infiammazione cronica di basso grado che attiva una serie di processi che conducono al diabete e alle malattie cardiovascolari. Ma anche al tumore. Un ruolo chiave nello sviluppo del diabete di tipo 2 è svolto da «Rankl», una proteina pro-infiammatoria in grado di attivare il fattore di trascrizione NF-kB, uno dei principali attori dell’infiammazione stessa.

E’ la scoperta, giunta a coronamento di un ventennio di studi, presentata da Stefan Kiechl, neurologo di Innsbruck, in Austria, nell’ambito delle «lectures» organizzate dalla Fondazione Sigma-Tau, prima a Roma e poi a Milano, con il patrocinio della Sid, la Società italiana di diabetologia. L’infiammazione alla quale si riferisce Kiechl è molto più subdola di quelle acute e più evidenti, come una flebite oppure una scottatura presa al sole. «E’ un fenomeno occulto – spiega Enzo Bonora, ordinario di Endocrinologia all’Università di Verona e presidente della Sid – ed è per questo motivo ancora più dannoso. Si instaura lentamente e continua per decenni, anche per tutta la vita. Scatenata dall’iperglicemia, ma anche da un eccesso di grassi circolanti nel sangue, l’infiammazione cronica, infatti, danneggia tessuti, organi e apparati, sia nella loro struttura anatomica sia nelle funzioni fisiologiche. Ha insomma – aggiunge – effetti sistemici sull’intero organismo».

A livello dei vasi, per esempio, modifica la loro struttura, ma anche la capacità di produrre sostanze vaso-dilatanti e anti-trombotiche, favorendo così lo sviluppo e la successiva rottura di placche aterosclerotiche, così come la formazione di trombi sulle placche che portano a infarto e ictus. Sul versante metabolico, poi, l’infiammazione può determinare un’alterata secrezione di insulina e può anche ridurre l’effetto biologico dell’ormone. In pratica questa infiammazione rappresenta l’anello di congiunzione tra il diabete e le malattie cardiovascolari.

E tra i protagonisti assoluti di questo processo c’è l’NFkB, un fattore di trascrizione che regola l’espressione di molti geni (stimolandone alcuni e silenziandone altri) e che svolge la sua azione in una sorta di «stanza dei bottoni», posta al crocevia di vie metaboliche di importanza fondamentale non soltanto per i processi che conducono all’aterosclerosi, ma anche alla crescita tumorale. Al momento nella pratica clinica non è possibile «misurare» l’NFkB, ma è possibile dosare nel sangue i livelli di «Rankl», una proteina che, legandosi al suo recettore («Rank»), va ad attivare proprio l’NFkB, il quale, a sua volta, determina e poi mantiene questa infiammazione cronica. Lo studio condotto da Kiechl – in collaborazione con le Università di Verona, Roma, Erlangen, Cambridge e Boston – ha messo in particolare evidenza questo specifico aspetto. Il prossimo passo consisterà nel verificare se l’inibizione della proteina «Rankl» sia realmente in grado di proteggere dal diabete e dalle malattie cardiovascolari.

Il trattamento antinfiammatorio  è di fatto già una realtà, perché molti dei farmaci comunemente in uso per il diabete e per la prevenzione delle malattie cardiovascolari hanno proprietà antinfiammatorie. La sfida da affrontare nei prossimi anni, però, è quella di ideare possibili interventi antinfiammatori specifici.  Alcune soluzioni promettenti, parte delle quali sono oggetto di studi già in corso, sono, per esempio, il salsalato (un vecchio farmaco contro l’artrite) oppure i farmaci anti-«Rankl» e anti-«Ikk». Ci sono poi il metotrexato (che è un immunosoppressore) e gli inibitori di Lp-Pla2, oltre a una serie di interventi mirati a ridurre i depositi di ferro nel corpo e a modificare il microbioma intestinale, vale a dire la flora batterica che è caratteristica di ogni individuo. Combattere l’infiammazione può migliorare il controllo del glucosio, ma anche contrastare le complicanze vascolari del diabete e, forse, anche le altre sue conseguenze, favorite da un ambiente pro-infiammatorio.

Esiste ormai un filone di ricerca specifico, che vede impegnati sia scienziati europei sia americani, che sta cominciando a fare luce sui meccanismi molecolari e apre la strada verso una possibile terapia mirata. Allo studio ci sono farmaci giudicati promettenti, ma le nuove terapie anti-infiammatorie dovrebbero anche agire sui principali fattori di stress che scatenano l’attivazione immunitaria e l’infiammazione: l’inattività fisica, il sovrappeso e la dieta (e cresce l’attenzione per le potenzialità legate alla modificazione del microbioma intestinale).

Ovviamente lo stile di vita salutare resta lo scudo più efficace. Visto che i tradizionali programmi di intervento sugli stessi stili di vita hanno riportato successi variabili ora l’attenzione si concentra via via su nuovi concetti a vasto raggio. E questi coinvolgono strategie per creare una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica. E i social network sono sempre più al centro di tutto.

Dott. Massimo Gualerzi, Cardiologo.

 

CIBO SPORT E CANCRO

Il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro (WCRF), la cui missione è di promuovere la prevenzione primaria dei tumori attraverso la ricerca e la divulgazione della conoscenza sulle loro cause, ha concluso un’opera ciclopica di revisione di tutti gli studi scientifici sul rapporto fra alimentazione e tumori.

Vi hanno contribuito oltre 150 ricercatori, epidemiologi e biologi, di circa cinquanta centri di ricerca fra i più prestigiosi del mondo. L’Istituto Nazionale dei Tumori ha gestito la sezione sui tumori della mammella, dell’ovaio e della cervice uterine. Il volume, disponibile su www.dietandcancerreport.org, è molto prudente nelle conclusioni, che riassumono in 10 raccomandazioni solo i risultati più solidi della ricerca scientifica.

Di tutti i fattori che si sono dimostrati associati ad un maggior rischio di cancro, quello più solidamente dimostrato è il sovrappeso: le persone grasse si ammalano di più di tumori della mammella, dell’endometrio, del rene, dell’esofago, dell’intestino, del pancreas, e della cistifellea. Di qui la prima raccomandazione di mantenersi snelli per tutta la vita e di evitare i cibi ad alta densità calorica, cioè i cibi ricchi di grassi e di zuccheri, che più di ogni altro favoriscono l’obesità: in primo luogo quelli proposti nei fast food e le bevande zuccherate.

La vita sedentaria è un’altra causa importante di obesità, ma è una causa di cancro anche indipendentemente dall’obesità: gli studi epidemiologici hanno evidenziato che le persone sedentarie si ammalano di più di cancro dell’intestino, della mammella, dell’endometrio, e forse anche del pancreas e del polmone.

Altri fattori che un gran numero di studi coerentemente indicano come cause importanti di cancro includono: il consumo di bevande alcoliche, associato ai tumori del cavo orale, della faringe, della laringe, dell’intestino, del fegato e della mammella; il consumo di carni rosse, soprattutto di carni conservate, associato soprattutto al cancro dell’intestino, ma probabilmente anche ai tumori dello stomaco, e sospettato per i tumori dell’esofago, del pancreas, del polmone e della prostata; il consumo elevato di sale e di cibi conservati sotto sale, associati al cancro dello stomaco; il consumo elevato di calcio, probabilmente associato al cancro della prostata; il consumo di cereali e legumi contaminati da muffe cancerogene, responsabili del cancro del fegato; la contaminazione con arsenico dell’acqua da bere, responsabile di tumori del polmone e della pelle; il consumo di supplementi contenenti beta-carotene ad alte dosi, che fanno aumentare l’incidenza di cancro del polmone nei fumatori.

Sul latte e i latticini e, in generale, sui grassi animali gli studi sono molto contrastanti e non conclusivi: il consumo di latte sembrerebbe ridurre i tumori dell’intestino, che sarebbero però aumentati dal consumo di formaggi, e un consumo elevato di grassi aumenterebbe sia i tumori del polmone che i tumori della mammella; si tratta di aumenti di rischio modesti ma, data l’elevata frequenza di questi tumori, tutt’altro che trascurabili.

Un ulteriore fattore importante considerato nel volume è l’allattamento, che riduce il rischio di cancro della mammella, e forse dell’ovaio, per la donna che allatta, e riduce il rischio di obesità in età adulta per il bambino che viene allattato.

Ma veniamo alle raccomandazioni:

1) Mantenersi snelli per tutta la vita. Per conoscere se il proprio peso è in un intervallo accettabile è utile calcolare l’Indice di massa corporea (BMI = peso in Kg diviso per l’altezza in metri elevata al quadrato: ad esempio una persona che pesa 70 kg ed è alta 1,74 ha un BMI = 70 / (1,74 x 1,74) = 23,1.), che dovrebbe rimanere verso il basso dell’intervallo considerato normale (fra 18,5 e 24,9 secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità).

2) Mantenersi fisicamente attivi tutti i giorni. In pratica è sufficiente un impegno fisico pari a una camminata veloce per almeno mezz’ora al giorno; man mano che ci si sentirà più in forma, però, sarà utile prolungare l’esercizio fisico fino ad un’ora o praticare uno sport o un lavoro più impegnativo. L’uso dell’auto per gli spostamenti e il tempo passato a guardare la televisione sono i principali fattori che favoriscono la sedentarietà nelle popolazioni urbane.

3) Limitare il consumo di alimenti ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate. Sono generalmente ad alta densità calorica i cibi industrialmente raffinati, precotti e preconfezionati, che contengono elevate quantità di zucchero e grassi, quali i cibi comunemente serviti nei fast food. Si noti la differenza fra “limitare” ed “evitare”. Se occasionalmente si può mangiare un cibo molto grasso o zuccherato, ma mai quotidianamente, l’uso di bevande gassate e zuccherate è invece da evitare, anche perché forniscono abbondanti calorie senza aumentare il senso di sazietà.

4) Basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non industrialmente raffinati e legumi in ogni pasto e un’ampia varietà di verdure non amidacee e di frutta. Sommando verdure e frutta sono raccomandate almeno cinque porzioni al giorno (per circa 600g); si noti fra le verdure non devono essere contate le patate.

5) Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni conservate. Le carni rosse comprendono le carni ovine, suine e bovine, compreso il vitello. Non sono raccomandate, ma per chi è abituato a mangiarne si raccomanda di non superare i 500 grammi alla settimana. Si noti la differenza fra il termine di “limitare” (per le carni rosse) e di “evitare” (per le carni conservate, comprendenti ogni forma di carni in scatola, salumi, prosciutti, wurstel), per le quali non si può dire che vi sia un limite al di sotto del quale probabilmente non vi sia rischio.

6) Limitare il consumo di bevande alcoliche. Non sono raccomandate, ma per chi ne consuma si raccomanda di limitarsi ad una quantità pari ad un bicchiere di vino (da 120 ml) al giorno per le donne e due per gli uomini, solamente durante i pasti. La quantità di alcol contenuta in un bicchiere di vino è circa pari a quella contenuta in una lattina di birra e in un bicchierino di un distillato o di un liquore.

7) Limitare il consumo di sale (non più di 5 g al giorno) e di cibi conservati sotto sale. Evitare cibi contaminati da muffe (in particolare cereali e legumi). Assicurarsi quindi del buon stato di conservazione dei cereali e dei legumi che si acquistano, ed evitare di conservarli in ambienti caldi ed umidi.

8) Assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrienti essenziali attraverso il cibo. Di qui l’importanza della varietà. L’assunzione di supplementi alimentari (vitamine o minerali) per la prevenzione del cancro è invece sconsigliata.

9)  Allattare i bambini al seno per almeno sei mesi.

10)  Nei limiti dei pochi studi disponibili sulla prevenzione delle recidive, le

raccomandazioni per la prevenzione alimentare del cancro valgono anche per chi si è già ammalato.

COMUNQUE NON FARE USO DI TABACCO

Dott. Massimo Gualerzi

Medico specilista in Cardiologia